mercoledì 18 giugno 2014

Dei cambi di direzione o degli imbarazzi di una presentazione

L'idea di ritagliarmi un angolino virtuale, di arredare una stanza tutta per me con i miei pensieri e di imbrattarne le pareti con i miei scarabocchi mi vorticava in testa da tempo, devo ammettere, ma come sempre l'impulsività delle mie decisioni non si accorda con la pigrizia e gli sciami di dubbi che mi impediscono di agire tempestivamente.
Ed ora mi ritrovo con un angolino virtuale che, più che una stanza, ricorda un ripostiglio confuso, vuoto eppure disordinato, traballante nelle sue fondamenta a causa della mia allergia alla tecnologia e della mia terribile indecisione, che mi porta a riempire di frasi vuote quella che vorrebbe essere una presentazione nello scadente tentativo di temporeggiare, ché il vero problema è che le mie idee riguardo alla direzione da dare a questo spazietto sono ancora oltremodo confuse. Lo slancio d'entusiasmo iniziale vedeva questa mia stanzetta come una grande e confusa libreria, una libreria con tutte le mie letture accuratamente recensite e ampiamente disquisite, perché lo spazietto che dedico alle mie recensioni su aNobii (precisamente, qui) inizia a starmi stretto. O meglio, il mio problema è un egocentrismo smisurato, un inevitabile vivermi come filtro ultimo e invalicabile che mi impedisce di fermarmi alla mera recensione dal punto di vista letterario, ma anzi sposta l'intero baricentro dei miei sproloqui su di me e su come io ho percepito una determinata lettura, quali tasti abbia premuto, quali nervi scoperti abbia stuzzicato, e tutto ciò ovviamente su una piattaforma come aNobii sarebbe fuori luogo. E allora mi sono detta che davvero una stanzetta in cui poter sproloquiare secondo la mia discrezione di libri e di me non sarebbe stata una brutta idea. Ma ecco che, non avendo nemmeno iniziato ad arredare la mia nuova stanzetta, di nuovo lo spazio sembra non bastarmi più: perché, sì, sento l'esigenza di poter parlare di libri - di libri e di libri in rapporto a me - in tutta libertà, ma al tempo stesso mi rendo conto che mi piacerebbe anche parlare solo di me, anche indirettamente, nascondendomi dietro le figure retoriche dei miei scarabocchi. Per anni ho impilato fogli su fogli, imbrattandoli d'inchiostro per alimentare i miei sogni - le mie illusioni, forse sarebbe meglio parlare così? - di avere anche io qualcosa da dire, ho alimentato la presunzione di sperare, di poter almeno provare a stare per un po' dall'altra parte della carta, sporcandomi d'inchiostro non solo gli occhi, ma anche le dita. Decine di personaggi, fiumi di figure retoriche e ore spese a ricercare le espressioni che meglio mi permettessero di dipingere con delle lettere un'emozione, nell'ultimo periodo anche qualche verso. 
Penso di avere abbastanza senso critico da rendermi conto benissimo che i miei scarabocchi, i miei tentativi di spurgare tutte le mie debolezze e le mie paure attraverso dei fiumi d'inchiostro non hanno alcun valore se non per me; da tempo ho smesso di pensare che la scrittura potesse rappresentare per me qualche cosa di più di una mera passione e di uno sfogo, ma mi sono detta che, perché no, forse in una stanza tutta per me posso anche permettermi lasciare perdere i parametri e la soggezione per tutto ciò che ritengo tremendamente superiore a i miei timidi tentativi di mettere in fila parole, e lasciarmi andare, prendendomi i miei spazi.
Già solo questo primo approccio, queste mie chiacchiere senza filo conduttore e senza meta avrebbero voluto andare in tutt'altra direzione: questa mattina, mentre armeggiavo inutilmente con dettagli tecnici quali la mia totale incapacità di muovermi tra gli strumenti grafici di un blog, m'immaginavo scrivere qualcosa che prevedesse il fatto che il modo migliore per parlare di me fosse quello di parlare del libro che nove mesi fa mi s'è insinuato sottopelle, m'ha spiazzata e spaventata, perché sì, ci sono libri che parlano di noi, oppure a noi, o entrambe le cose senza soluzioni di continuità, e La campana di vetro di Sylvia Plath con me ha fatto proprio questo.
Ho finito con lo riempire lo schermo di parole, senza poi dire molto, ma i miei inizi sono sempre traballanti, cerco sempre di riservarmi una stradina sicura per tornare, non so fare salti nel vuoto.
Quindi, non so quale direzione darò a questo angolino virtuale male arredato, preferisco pensare che non ci sia direzione, o comunque che la direzione verrà a costituirsi da sola, senza obblighi e senza aspettative, senza imposizioni.
Quel che so è solamente che in ventun anni non ho saputo imparare il significato di “ordine” e “costanza”, quindi posso già immaginare che questa mia povera stanzetta conoscerà momenti di congestionata attività alternati a periodi di totale abbandono, ma non importa, non voglio forzature, solo passione. E la passione, quella sì, nemmeno la mia terribile incostanza è riuscita mai a scalfirla: da sempre, continuo a vivere di respiri di carta.